Il semplice appartenere all’amministrazione rende il lavoratore incompatibile lo svolgimento di altre attività non autorizzate.
Per il pubblico dipendente l’incompatibilità del suo impiego con altro rapporto di lavoro è configurabile anche se si trova in aspettativa. Con l’ordinanza 6637/20 del 9 marzo la Corte di cassazione non lascia spazio a dubbi: la norma sull’incompatibilità è finalizzata a evitare i conflitti di interesse e questi possono verificarsi anche con un rapporto temporaneamente sospeso con la pubblica amministrazione.
Nel caso deciso, un’azienda aveva dato incarichi di consulenza a un pubblico dipendente in aspettativa, senza l’autorizzazione del datore di lavoro. L’Agenzia delle entrate aveva così notificato ordinanza ingiunzione al committente privato, che l’aveva impugnato sostenendo sia la tardività dell’accertamento, sia la propria buona fede.
Il tribunale ha accolto il ricorso, ma la Corte d’appello l’ha rigettato, con sentenza confermata dalla Suprema corte. È stata esclusa la tardività della contestazione, che l’articolo 14 della legge 689/1981 prevede debba avvenire entro novanta giorni, poiché il termine non decorre dalla commissione del fatto, ma dal suo accertamento da parte dell’amministrazione.
Nel caso specifico, la contestazione era stata effettuata nell’immediatezza dell’accertamento, scaturito da una nota della Presidenza del Consiglio dei ministri, che invitava a effettuare le verifiche. Né poteva ritenersi che l’amministrazione fosse a conoscenza dell’incarico per essere stati denunciati a fini fiscali i redditi da lavoro, poiché il conferimento di altri incarichi si potrebbe desumere solo da specifici approfondimenti o comunicazioni portate all’attenzione dell’amministrazione.
La Corte ha poi esaminato il principale motivo di impugnazione: il pubblico dipendente era in aspettativa e fuori ruolo e dunque non erano configurabili situazioni di ostacolo alle proprie mansioni o al rispetto dell’orario di lavoro o comunque di conflitto di interesse. Pertanto alcuna colpa era imputabile al committente privato per gli incarichi conferiti. Non è così, ha ritenuto la Cassazione, poiché l’aspettativa non fa cessare il rapporto di lavoro e l’articolo 53 del Dlgs 165/2001, che disciplina l’incompatibilità, non distingue a seconda dello stato del rapporto di lavoro: è il semplice appartenere alla pubblica amministrazione che non fa cessare i rischi di conflitto di interesse “o di possibili utilizzazione di entrature cui la norma, insieme ad altri interessi, è preposta a prevenire”. Il pubblico dipendente dovrà pertanto sempre chiedere l’autorizzazione per assumere altri incarichi, salvo che norme particolari non lo richiedano e al ricorrere degli altri presupposti di legge.